IL Mondo di Lucy M

Posts written by lucy1

view post Posted: 11/1/2024, 23:38     AUGURI LUCY... Buon Compleanno! - COMPLEANNI E ANNIVERSARI

Grazie grazie di cuore a tutti Voi. si avete ragione è un compleanno difficile, è il primo senza il mio PIER. Oggi ho sentito la sua assenza ancora più forte.Come dice Nuvola che ho tanti AMICI be io dico è vero! e per fortuna cccccche ho tutti/e voi! sono fortunata ad avervi tutti V. V. MOLTO BENE E VI RINGRAZIO di cuore.

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view post Posted: 7/9/2023, 17:45     CONDOGLIANZE CARISSIMA LUCY, PER LA PERDITA DEL TUO AMATO PIER - EVENTI

Grazie Amici e Amiche. Un grazie di cuore a Tutti/e voi che vi siete stretti nel mio Dolore, in questi tristi giorni vi ho sentiti vicini Grazie di cuore sul serio. vi voglio Bene

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view post Posted: 19/5/2023, 00:20     AUGURI ORIELLA... Buon Compleanno! - COMPLEANNI E ANNIVERSARI

Buon Compleanno cara Oriella ti Auguro 100 di Questi Giorni sempre felici Auguri

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xe0j29nuovo

view post Posted: 10/5/2023, 23:22     BUON COMPLEANNO CARA GRAZIELLA. - COMPLEANNI E ANNIVERSARI

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CARISSIMA GRAZIELLA

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Edited by lucy1 - 11/5/2023, 14:50
view post Posted: 9/5/2023, 16:02     le Nostre Condoglianze per il Nostro Amico Tim - EVENTI

Oggi ci ha lasciato un caro Grande Amico, si il Nostro Amico Tim...
è DIFFICILE TROVARE LE PAROLE IN QUESTE CIRCOSTANZE ma ci proviamo
Tim è sempre stato un caro Amico sincero e ci ha lasciato con l'amaro in bocca e un grande vuoto nel nostro Cuore nel cuore di chi l'hom ha Amato. quindi lasciamo le nostre condoglianze per la sua famiglia. Sincere condogliande alla sua Famiglia


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view post Posted: 10/4/2023, 23:01     AUGURI FRANCESINA!!! - AUGURI

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Edited by lucy1 - 11/4/2023, 13:38
view post Posted: 20/3/2023, 00:18     La mondina Gina - RACCONTI

La mondina Gina

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Siamo negli anni trenta del Novecento, epoca nella quale pochissimi se la passavano fin troppo bene e la moltitudine tirava cinghia e subiva.
Gina sopravviveva in questa moltitudine, una vita fatta di stenti nella quale lo spettro della fame era sempre presente; era una madre fiera.
Quattro mesi prima aveva partorito un bel maschietto, il piccolo Lisàndar, sano e paffuto; era stato un parto difficile e Gina era sfinita.
Quella donna dignitosa, nonostante le sue precarie condizioni, inforcò la bicicletta di suo nonno e si recò in risaia; traeva forza da Lisàndar.
Si presentò al lavoro sorridente, fingendo una salute che purtroppo non l’accompagnava; le venne prospettata una paga indecente, accettò, non aveva scelta.
Aveva il terrore delle bisce ma si impose di non cedere, pensava al suo piccolo e si sentiva una leonessa; le ore passavano.
Lavorava senza sosta, temendo che qualcuno si accorgesse della sua debolezza fisica; acqua e fango ovunque e i loro ospiti indesiderati sempre presenti.
Le prime notti le passò alla sua dimora, che distava un’ora circa in bicicletta, ma si accorse che non reggeva alla fatica.
Decise quindi di dormire con le altre sue compagne nel grande camerone adibito al loro ricovero; si sentiva comunque molto debole ma resistette.
Un giorno, verso il finire di una giornata lavorativa durante la quale aveva avuto brividi quasi continui, ella svenne e fu prontamente soccorsa.
Le compagne la portarono nel camerone e la distesero sulla sua branda; intervenne Anna, una delle figlie del proprietario, misurandole la temperatura corporea.
La temperatura era elevatissima, Anna inviò un inserviente a Novara col calesse, affinché egli tornasse accompagnato dal medico di fiducia per visitare Gina.
Anna, che era buona d’animo si prodigò come poté, sopportando nel contempo il mugugno del padre, uomo ottuso e attaccato al denaro.
Dopo un tempo piuttosto lungo ecco giungere il medico, che visitò l’inferma senza indugio; la sua espressione era cupa, scuoteva il capo.
Poi infine si espresse, preoccupato “si tratta di febbre delle risaie, che di per sé non è grave, essendo questa malattia raramente fatale.”
Rimase in silenzio, poi riprese nella diagnosi “senonché la paziente è estremamente debilitata, forse a causa di una sua reazione esagerata al morbo.”
Continuò “l’aver partorito di recente non giova, insomma vi è una serie di avversità che mi induce a formulare una prognosi infausta.”
Anna pianse convulsamente, ancor giovane non accettava il concetto della morte; il medico prescrisse dei medicinali, ormai inutili, e tornò a Novara desolato.
Anna volle comunque somministrare a Gina i medicinali, nella speranza che la malattia si attenuasse, rimanendo al capezzale a pregare giorno e notte.
Per tutta la notte e il giorno successivo Gina rimase incosciente, poi durante la seconda notte si riprese, ma il mattino seguente spirò.
Anna credette di impazzire, aveva sperato fino all’ultimo che Gina sopravvivesse; si fece quindi carico delle esequie e non badò a spese.
Si occupò di Lisàndar come fosse suo figlio e si curò di farlo crescere agiato, ed egli divenne un uomo forte ed istruito.
La chiamò sempre zia Anna e le chiedeva di narrargli quella storia che lui tanto amava, la storia di Gina tenace e sfortunata.
Riedizione di racconti di Ernesto Martinasso pubblicati su Me Piemont.

view post Posted: 20/3/2023, 00:09     Me Piemont - POESIE

Me Piemont

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10 marzo 1923
Nascesti in un villaggio montano valsusino cent’anni or sono, dove la vita si doveva strappare all’avaro territorio in quota.
A quattro anni perdesti il padre, vittima di un incidente di lavoro nell’ancor più avara Francia, dove il pane guadagnato col sudore aveva sette croste e il sapore amaro che solo lo straniero avverte così intenso, non con la gola ma col cuore.
Tua madre pianse tutte le lacrime che potevano essere generate da una donna, ma non si dette per vinta e s’avvinghiò, sola con i quattro pargoli, alla brulla terra costringendola a farvi vivere.
Adolescente ti arruolasti nell’Arma dei Carabinieri, per non pesare sulla mamma e per tuffarti nella vita; la caserma Cernaia ti accolse da matrigna, era ormai tempo di guerra e il vitto giornaliero sapeva di muffa e di rancido, ma era talmente scarso che non poteva nuocerti. La fame, la terribile fame che accompagna sempre l’orrore della guerra, era la sorella della tua giovinezza.
Chiedesti di essere inviato sulle vette più alte e fosti accontentato, ti trovasti al colle del Teodulo, ad oltre tremila metri d’altezza; vedevi passare gli aerei carichi di bombe e di morte, appena sopra la tua testa e udivi il loro rombare, il tutto terribilmente folle in relazione alla bellezza e all’armonia della montagna d’alta quota. Eri carabiniere sciatore e per un certo tempo ti trovasti al di sopra della carneficina umana in atto, che più sotto falcidiava vite innocenti.
Venne il 1943, fosti perseguitato dai nazisti e ti ritrovasti a fuggire per aver salva la vita.
Ti unisti ad una piccolo gruppo di partigiani, ma fosti sfortunato; in un campo di Sant’Ambrogio di Torino un contadino si permise di protestare umilmente per l’occupazione del suo campo, il capo partigiano gli strappò la zappa che teneva in mano e l’uccise, sfondandogli il cranio; un getto di sangue rosso più del consueto, per la vergogna di una violenza così gratuita e malvagia, sprizzò sulla tua candida camicia bianca. Guardasti l’uomo senza vita e il suo sangue innocente che rosseggiava nel bianco candore dell’indumento. Capisti che in guerra la malvagità regnava e non stava tutta da una parte sola. Ti rifugiasti sulle vette della bassa Valle di Susa, solo con i tuoi onesti e puliti vent’anni, non cercasti la compagnia di alcuno, ti era bastato l’orrore al quale avevi assistito.
Conoscesti in seguito i partigiani cremonesi, cari e buoni ragazzi finiti tutti trucidati dalla ferocia fascista; la loro colpa, se così si può definire, era quella di essere renitenti alla leva. Le milizie del male, formate da veterani, contro una banda di ragazzi massacrati con l’inganno; quando ciò avvenne li avevi salutati da poco per raggiungere le tue vette. Ti fermasti sgomento, quei fanciulli invocavano la loro madre mentre la soldataglia, che per differenza d’età poteva essere loro padre e zio, gli aprirono il petto per estirparne il cuore palpitante e gli enuclearono gli occhi.
Ti aiutò a sopportare tutto questo lo spirito piemontese, l’essere il discendente di innumerevoli generazioni scampate chissà come ai massacri e alle persecuzioni messi in atto dalle potenze europee verso una terra di confine. Come i soldati dell’antica Roma furono sgomenti di fronte alle Alpi Cozie, così i nuovi dittatori ne furono intimiditi.
Le milizie nazifasciste fecero numerosi rastrellamenti per poter porre fine ai tuoi vent’anni, ma la montagna ti era amica e ti proteggeva, ti rifugiasti su vette infestate dai serpenti, preferendo saggiamente la loro compagnia rispetto agli omuncoli infami che vivevano in quell’epoca malvagia. Li vedevi compiere le loro miserabili manovre, in decine e forse centinaia contro un giovinetto; ma tu eri in alto rispetto a loro, in tutti i sensi, e mentre loro arrancavano lentamente, tu eri già al sicuro su altre vette. Li giocasti, era un gioco mortale e vincesti tu, a dimostrazione che il malvagio non usa il cervello essendo egli così saturo di odio tanto da renderlo idiota. Fosti una Primula Rossa, imprendibile, ma di ciò non ti vantasti, mai, perché nella tua saggezza sapevi che la guerra non può mai essere un vanto ma soltanto una eterna vergogna per tutti.
Finalmente il conflitto finì e si instaurò quello che viene chiamato, con termine scontato, il dopoguerra; ovviamente l’onda nefasta della guerra non si arrestò di colpo, tutto era distrutto e la fame imperava. Il dolore per gli infiniti lutti verificatisi, le mutilazioni subite da civili e combattenti, le macerie che silenziose ricordavano quotidianamente quanto l’uomo è insano di mente e nella scala animale è forse all’ultimo gradino, al di sotto degli animali che strisciano.
Ci fu la ricostruzione e seguì il boom economico e presto arrivò pure la droga, per ricordarci che l’uomo non può vivere senza provocare morti innocenti; iniziò così un massiccio attacco al popolo inerme tramite le sostanze stupefacenti, un’arma subdola ma letale come le armi da guerra. Una guerra mai dichiarata e senza fine, che dura ancora oggi e forse non finirà.
Tu non ti vantasti dei tuoi meriti, ma ci pensarono gli altri, iniziando un periodo di esaltazione fantastica nella quale tutti erano eroi; in quella folle fantasmagoria di fantasie ognuno faceva a gara a dirla più grossa. Il colmo del disonore si toccò quando a Roma e a Napoli aprirono uffici per l’emissione di false tessere partigiane, a pagamento ovviamente, e così i partigiani veri furono sommersi da quelli falsi in un rapporto di uno a quattro, forse cinque. Le tessere partigiane servivano per accedere a cariche istituzionali anche importanti, se saltasse fuori l’elenco dei falsi partigiani la storia italiana degli ultimi settant’anni dovrebbe essere riscritta; ma ciò non accadrà, quei registri sono stati distrutti perché troppo compromettenti. Ustica insegna.
Tu che la guerra l’avevi vissuta veramente non avevi certo voglia di fare il ciarlatano e tantomeno l’imbroglione; parlavi poco, forse perché avevi visto troppe cose brutte.
Caro padre mio, ho voluto dedicarti questo breve riassunto della tua vita per i cent’anni dal giorno della tua nascita e spero tu possa leggerlo ovunque tu sia, con affetto il tuo Ernesto.
Racconto inedito scritto da Ernesto Martinasso per Me Piemont.
Nell'illustrazione mio padre, Cesare Martinasso.

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