IL Mondo di Lucy M

Me Piemont

« Older   Newer »
  Share  
lucy1
view post Posted on 20/3/2023, 00:09 by: lucy1     +1   -1
Avatar

Lucy

Group:
Founder
Posts:
18,356
Reputation:
+1,406
Location:
seregno monza brianza

Status:


Me Piemont

Rv8uHQWsN3Uq

10 marzo 1923
Nascesti in un villaggio montano valsusino cent’anni or sono, dove la vita si doveva strappare all’avaro territorio in quota.
A quattro anni perdesti il padre, vittima di un incidente di lavoro nell’ancor più avara Francia, dove il pane guadagnato col sudore aveva sette croste e il sapore amaro che solo lo straniero avverte così intenso, non con la gola ma col cuore.
Tua madre pianse tutte le lacrime che potevano essere generate da una donna, ma non si dette per vinta e s’avvinghiò, sola con i quattro pargoli, alla brulla terra costringendola a farvi vivere.
Adolescente ti arruolasti nell’Arma dei Carabinieri, per non pesare sulla mamma e per tuffarti nella vita; la caserma Cernaia ti accolse da matrigna, era ormai tempo di guerra e il vitto giornaliero sapeva di muffa e di rancido, ma era talmente scarso che non poteva nuocerti. La fame, la terribile fame che accompagna sempre l’orrore della guerra, era la sorella della tua giovinezza.
Chiedesti di essere inviato sulle vette più alte e fosti accontentato, ti trovasti al colle del Teodulo, ad oltre tremila metri d’altezza; vedevi passare gli aerei carichi di bombe e di morte, appena sopra la tua testa e udivi il loro rombare, il tutto terribilmente folle in relazione alla bellezza e all’armonia della montagna d’alta quota. Eri carabiniere sciatore e per un certo tempo ti trovasti al di sopra della carneficina umana in atto, che più sotto falcidiava vite innocenti.
Venne il 1943, fosti perseguitato dai nazisti e ti ritrovasti a fuggire per aver salva la vita.
Ti unisti ad una piccolo gruppo di partigiani, ma fosti sfortunato; in un campo di Sant’Ambrogio di Torino un contadino si permise di protestare umilmente per l’occupazione del suo campo, il capo partigiano gli strappò la zappa che teneva in mano e l’uccise, sfondandogli il cranio; un getto di sangue rosso più del consueto, per la vergogna di una violenza così gratuita e malvagia, sprizzò sulla tua candida camicia bianca. Guardasti l’uomo senza vita e il suo sangue innocente che rosseggiava nel bianco candore dell’indumento. Capisti che in guerra la malvagità regnava e non stava tutta da una parte sola. Ti rifugiasti sulle vette della bassa Valle di Susa, solo con i tuoi onesti e puliti vent’anni, non cercasti la compagnia di alcuno, ti era bastato l’orrore al quale avevi assistito.
Conoscesti in seguito i partigiani cremonesi, cari e buoni ragazzi finiti tutti trucidati dalla ferocia fascista; la loro colpa, se così si può definire, era quella di essere renitenti alla leva. Le milizie del male, formate da veterani, contro una banda di ragazzi massacrati con l’inganno; quando ciò avvenne li avevi salutati da poco per raggiungere le tue vette. Ti fermasti sgomento, quei fanciulli invocavano la loro madre mentre la soldataglia, che per differenza d’età poteva essere loro padre e zio, gli aprirono il petto per estirparne il cuore palpitante e gli enuclearono gli occhi.
Ti aiutò a sopportare tutto questo lo spirito piemontese, l’essere il discendente di innumerevoli generazioni scampate chissà come ai massacri e alle persecuzioni messi in atto dalle potenze europee verso una terra di confine. Come i soldati dell’antica Roma furono sgomenti di fronte alle Alpi Cozie, così i nuovi dittatori ne furono intimiditi.
Le milizie nazifasciste fecero numerosi rastrellamenti per poter porre fine ai tuoi vent’anni, ma la montagna ti era amica e ti proteggeva, ti rifugiasti su vette infestate dai serpenti, preferendo saggiamente la loro compagnia rispetto agli omuncoli infami che vivevano in quell’epoca malvagia. Li vedevi compiere le loro miserabili manovre, in decine e forse centinaia contro un giovinetto; ma tu eri in alto rispetto a loro, in tutti i sensi, e mentre loro arrancavano lentamente, tu eri già al sicuro su altre vette. Li giocasti, era un gioco mortale e vincesti tu, a dimostrazione che il malvagio non usa il cervello essendo egli così saturo di odio tanto da renderlo idiota. Fosti una Primula Rossa, imprendibile, ma di ciò non ti vantasti, mai, perché nella tua saggezza sapevi che la guerra non può mai essere un vanto ma soltanto una eterna vergogna per tutti.
Finalmente il conflitto finì e si instaurò quello che viene chiamato, con termine scontato, il dopoguerra; ovviamente l’onda nefasta della guerra non si arrestò di colpo, tutto era distrutto e la fame imperava. Il dolore per gli infiniti lutti verificatisi, le mutilazioni subite da civili e combattenti, le macerie che silenziose ricordavano quotidianamente quanto l’uomo è insano di mente e nella scala animale è forse all’ultimo gradino, al di sotto degli animali che strisciano.
Ci fu la ricostruzione e seguì il boom economico e presto arrivò pure la droga, per ricordarci che l’uomo non può vivere senza provocare morti innocenti; iniziò così un massiccio attacco al popolo inerme tramite le sostanze stupefacenti, un’arma subdola ma letale come le armi da guerra. Una guerra mai dichiarata e senza fine, che dura ancora oggi e forse non finirà.
Tu non ti vantasti dei tuoi meriti, ma ci pensarono gli altri, iniziando un periodo di esaltazione fantastica nella quale tutti erano eroi; in quella folle fantasmagoria di fantasie ognuno faceva a gara a dirla più grossa. Il colmo del disonore si toccò quando a Roma e a Napoli aprirono uffici per l’emissione di false tessere partigiane, a pagamento ovviamente, e così i partigiani veri furono sommersi da quelli falsi in un rapporto di uno a quattro, forse cinque. Le tessere partigiane servivano per accedere a cariche istituzionali anche importanti, se saltasse fuori l’elenco dei falsi partigiani la storia italiana degli ultimi settant’anni dovrebbe essere riscritta; ma ciò non accadrà, quei registri sono stati distrutti perché troppo compromettenti. Ustica insegna.
Tu che la guerra l’avevi vissuta veramente non avevi certo voglia di fare il ciarlatano e tantomeno l’imbroglione; parlavi poco, forse perché avevi visto troppe cose brutte.
Caro padre mio, ho voluto dedicarti questo breve riassunto della tua vita per i cent’anni dal giorno della tua nascita e spero tu possa leggerlo ovunque tu sia, con affetto il tuo Ernesto.
Racconto inedito scritto da Ernesto Martinasso per Me Piemont.
Nell'illustrazione mio padre, Cesare Martinasso.

 
home page .  Top
0 replies since 20/3/2023, 00:09   18 views
  Share